Dhyana:Ch’an:Zen

Il termine sancrito dhyana, importato dai buddisti in Cina fin dai primi secoli dopo Cristo, tradotto in cinese (equivalente fonetico) diventa Ch’an (pronuncia arcaica: dian) e si scrive con un ideogramma che in giapponese si legge “Zen” termine con cui ciò di cui stiamo per parlare è conosciuto all’occidente.

Dhyana è stato tradotto in Occidente, spesso per comodità, ma con imprecisione, col termine “meditazione”. Non è difficile immaginare che i primi occidentali che entrarono in contatto con un certo tipo di spiritualità orientale, vedendo un uomo religioso seduto immobile, e cioè non intento a pregare o recitare mantra, lo ritennero intento a meditare e cioè a pensare. Il punto è che alla mente, e alla mente occidentale in particolare, manca il concetto di “assenza di mente”, se non come insulto o patologia, e quindi il termine dhyana, che indica in realtà l’assenza di pensiero, venne tradotto con meditazione.

Molto tempo fa, Cartesio disse: “Penso dunque sono”. Qui comincia la filosofia. Ma se non state pensando cosa succede? Qui comincia la pratica zen. (Maestro Zen Sueng Sahn)

Tratto da “Storia e storie di un’eresia chiamata Zen” di Fabrizio Ponzetta

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